Un confronto tra Theresa May e Margaret Thatcher

Pensi a Theresa May e ti viene in mente Margaret Thatcher quando il 22 novembre 1990, scaricata da sette suoi ministri su dodici, alzò bandiera bianca e andò in Parlamento a presentare le proprie dimissioni da premier dopo undici anni di fila a Downing Street.

Due giorni prima la Thatcher aveva vinto, ma con l’umiliazione di un margine insufficiente a chiudere subito i giochi, la prima conta interna per il ruolo di leader dei Tories contro il suo ex ministro Heseltine. Il quale l’aveva sfidata approfittando del calo senza precedenti della sua popolarità: la poll tax, la voglia di rinnovamento e l’aumento di inflazione, disoccupazione, tassi di interesse e disuguaglianze avevano fatto precipitare la fiducia dei cittadini nella Lady di Ferro e portato i laburisti di Kinnock avanti di 14 punti nei sondaggi.

Ma era stata la miope e ossessiva lotta della Thatcher contro ogni sviluppo dell’integrazione europea il vero motivo scatenante della rivolta del terzetto Heseltine-Lawson-Howe contro la donna il cui primato nel Partito Conservatore e nel Paese mai prima di quel momento essi avevano osato mettere in discussione.

Enzo Bettiza commentò l’addio al potere della Thatcher con un editoriale intitolato “Morire d’Europa” in cui ricordava il paradosso di veder uscire di scena per eccesso di antieuropeismo una donna che nella sua prima vittoria elettorale del 1979 si era fatta forte di parole d’ordine europeiste contro l’idea di un referendum per un divorzio del Regno Unito dalla Cee allora circolante nei ranghi del Labour di Callaghan.

Theresa May quel pezzo di Bettiza dovrebbe leggerselo.

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