Dalla fine dell’ultima guerra ci sono stati in Italia tre presidenti del consiglio “tecnici”: Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini, Mario Monti (contrariamente a quanto talvolta si sostiene, non rientra in questa categoria Giuseppe Pella, che, quando nel 1953 diventò premier, aveva alle spalle un settennio da parlamentare DC e quattro anni da ministro).
Ciampi, Dini e Monti vennero tutti e tre selezionati per la guida dell’esecutivo in virtù delle loro specifiche competenze in campo economico e dopo aver ricoperto incarichi politici o comunque di grande rilievo istituzionale.
Tutti e tre furono designati in un momento di emergenza politica, non all’indomani di elezioni, bensì in seguito a un processo dissolutivo di maggioranze entrate in crisi qualche tempo dopo le elezioni.
Ciampi arrivò a Palazzo Chigi dopo 14 anni alla testa della Banca d’Italia.
Dini dopo aver fatto il ministro del tesoro e per 15 anni il direttore generale della Banca d’Italia.
Monti dopo aver fatto il commissario europeo per 9 anni.
Il professor Giuseppe Conte, il candidato presidente del consiglio su cui, dopo 78 giorni di balletti a tratti indecorosi, è stato raggiunto un accordo tra 5S e Lega, è un ordinario di diritto civile senz’altro autorevole nella sua materia di insegnamento.
Tuttavia rappresenta non solo un non eletto scelto da partiti che per anni hanno polemizzato insulsamente e demagogicamente contro i governi non eletti, ma anche, per l’assoluta mancanza di esperienza in funzioni pubbliche di vertice, un’anomalia assoluta nella storia repubblicana, e quindi un azzardo a tutti gli effetti.
Che sia destinato a svolgere il ruolo di mero esecutore di un programma politico redatto a sua insaputa, è un’aggravante, non un’attenuante.