Ero bambino e mio nonno Duilio per spiegarmi con esempi semplici cosa erano stati per le persone del popolo il fascismo e la guerra non si limitava a rievocare le vessazioni subite a Vinci da lui stesso e da diversi suoi parenti e amici.
La storia che mi raccontava più di frequente, e crescendo ho capito perché (grazie ancora nonno), era quella dei sette fratelli Cervi fucilati dai fascisti il 28 dicembre 1943 e del dolore enorme della loro mamma Genoeffa che morì stroncata dalla sofferenza meno di un anno dopo e del loro babbo Alcide che visse fino al 1970 senza smettere per un attimo di onorare la memoria dei suoi figli Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio e Ettore.
Ragazzi con degli ideali, amanti della libertà e della giustizia, antifascisti, contadini affittuari (i Cervi erano riusciti a passare dalla condizione di mezzadri a quella meno oppressiva di fittavoli, e questo nel racconto di un ex mezzadro come mio nonno era un particolare cui veniva sempre dato un certo peso).
Quando avevo dieci anni sentire come e perché avvenne l’eccidio dei fratelli Cervi mi dava i brividi.
Gli stessi brividi che provo oggi ricordandoli con queste poche parole nel giorno del 75esimo anniversario della loro tragica morte.