Una cosa utile per il Paese.
La più utile.
Domenica scorsa mi fece piacere sentire Enrico Letta dire nella trasmissione di Fabio Fazio “il bis di Mattarella sarebbe il massimo”.
Personalmente, non ho mai nascosto di vedere con favore sia la sua rielezione, possibile solo con una maggioranza molto larga, grande almeno quanto la attuale maggioranza di governo, sia la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi (non ho mai auspicato un “trasloco” di quest’ultimo al Quirinale, perché ero persuaso che nelle condizioni date sarebbe stato, e non certo per suoi demeriti, pericolosamente destabilizzante, come i fatti di questi giorni mi pare abbiano abbondantemente dimostrato).
Credo fermamente che il Paese abbia bisogno oggi più che mai che queste due persone di grande prestigio internazionale continuino ad assolvere l’incarico che stanno svolgendo.
Ho votato Mattarella con questa convinzione, e quindi con la stessa grande gioia con cui lo votai nel gennaio di sette anni fa.
Per questo motivo trovo infondata la frase fatta secondo la quale la rielezione di Mattarella sarebbe un “fallimento della politica”, senza distinzioni e specificazioni. In primo luogo, un risultato che va nell’interesse del Paese non è mai un fallimento, per definizione. In secondo luogo, se il percorso per arrivarci è stato eccessivamente lungo e contorto, la causa è in gran parte strutturale e va ricercata nelle regole che governano questa procedura (cosa nota almeno dal 1955) e nella irresponsabilità di alcuni dirigenti politici (attenzione non di “tutta la politica”, ma di una “parte” della politica) che hanno fatto sì che a questo sbocco si giungesse non subito ma dopo sei giorni e otto scrutini.
Sulle regole, bisogna aprire una riflessione. Serve un iter più trasparente e più celere per l’elezione del Presidente della Repubblica. E questo non significa affatto che si deve passare all’elezione diretta e al presidenzialismo (ecco un’altra semplificazione banale). Riflettiamoci, lavoriamoci. E poi servono nuovi regolamenti parlamentari e una nuova legge elettorale.
Sulle colpe delle forze politiche respingo ogni generalizzazione. Condannare in blocco non ha senso ed è ingiusto.
Un pezzo della “politica” che genericamente si mette sotto accusa è rappresentato dal Pd, il mio partito.
Io penso che il Pd e i suoi dirigenti da lunedì ad oggi abbiano fatto il loro dovere. Non hanno commesso errori. Hanno pensato all’Italia. E consapevoli di contare solo il 15% dei grandi elettori, e del fatto che nessun polo aveva la maggioranza, non hanno smesso un minuto di criticare la linea delle spallate e delle forzature unilaterali (Salvini, Meloni, ecc) e di chiedere soluzioni di larga maggioranza. Hanno sbagliato? Per me no. Fermi restando i comportamenti dei partiti dello schieramento avverso, avevano essi la forza per imporre scelte diverse da questa? Al di là del fatto che io non auspicavo scelte diverse, bisogna ammettere che questa forza non la avevano.
Pertanto fare di ogni erba un fascio e trascinare anche il Pd sul banco degli imputati di “fallimento politico” mi pare un esercizio che fa a pugni con la realtà.